DEMA
«L'atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l'inizio della ragione.» - Erich Fromm

mercoledì 22 settembre 2010

Senza Titolo

Via, mi sono rotto. Cambiamo per l'ennesima volta questo blog. L'attualità non è attuale è sempre la stessa minestra, la satira non funziona nemmeno a tirarmi su il morale. Ma fortuna che c'è questo Blogg. Non ho lettori. Il fatto di non avere lettori è un gran vantaggio. Il vantaggio di chi puo scrivere quel cazzo che gli pare tanto nessuno farà niente.
Stamattina mi sveglio con questa angoscia e poca voglia di lavorare. Non sono uno che lavora poco o cerca di scansare la fatica. Ma l'idea oramai persistente che il risultato della mia fatica non sia utile a nessuno mi toglie la voglia. La domanda che mi si ficca in testa stamattina alle 07.14 ora locale è la seguente. Perchè sono stato condannato ad essere uno schiavo? Ok, schiavo è esagerato? Chi leggesse questa pagina potrebbe dire .. signor Dema, piano con le parole!!! E' vero lo schiavismo è stato abolito la democrazia ha preso piede in quasi tutto il mondo occidentale di cui faccio parte e la libertà ha trionfato al punto che al governo del mio paese c'è il popolo della libertà. Di che diavolo dovrei lamentarmi? E dopo questa considerazione mi si pianta in testa insistente come un ticchettio continuo la seconda domanda. Perchè devo essere governato? .... Una decina di secondi di silenzio è d'obbligo di fronte ad una domanda del genere. Credo che la maggior parte dei miei contemporanei non si sia mai posta nemmeno la domanda. E quando qualcuno la pone? Ecco, ponendo questa domanda si causa quel vuoto di pensiero che sta a metà tra .. dobbiamo essere governati perchè siamo pecore e non abbiamo la minima idea di come si faccia a convivere ... (cosa che disturba ed è difficile da ammettere per questo difficile da dire) ..e .. cazzo sai che non ci avevo mai pensato? A chi si pone questa seconda domanda mi piacerebbe parlare. Con lui mi piacerebbe passare una decina di minuti a discorrere di questo. Perchè chi si è rassegnato ad essere pecora bisognosa del pastore non ho niente da dire. Ma al secondo a colui che ha spento la ragione, che ha barattato la logica con un misero stipendio, a quello che ha abbracciato le regole di questo gioco del governato e del governante fingendo che sia democratico passatampo a quello che ha regalato la sua libertà al miglior offerente intederei parlare. Ma non in questa sede e ci vorrebbe davvero troppo tempo e poi francamente non so quanti starebbero all'ascolto.
Questo pensiero mi ricatapulta immediatamente al mio posto. Nella mia città, nel mio ufficio inchiodato alla mia scrivania davanti al mio solito telefono .. attendo il trillo .. lo guardo ... ha una forma strana. Sembra ostile e rassicurante allo stesso tempo. Ha l'aspetto della donna bellissima gentile e pericolosissima. Rassicura il sentirlo squillare, rassicura la tranquillità stantia ereditata da non so chi di sentirsi al sicuro perchè si conserva ancora un posto di lavoro. Rassicura ma non risponde alle mie domande. Fa solo altre domande. E' impassibile. Stessa forma stesso colore stessa voce. Tutti la stessa. Chiunque parli dall'altra parte ha la stessa voce. Esistono? Voglio dire le persone che mi parlano ogni giorno dall'altro capo di questo oggetto capolavoro di tecnologia esistono davvero? A volte penso siano semplicemente un diversivo creato soltanto per dare a me qualcosa da fare durante la giornata. Da chi? Questa è un altra domanda e siamo a tre. Per chi o cosa impiego le mie forze ogni giorno? Non lo conosco. Non ha un viso. E' un entità. Comincio a dubitare che esista anche lui. Ma esistere o no, la sua percezione esiste e serve a rassicurare. Tiene tranquilli tutti. Me, i miei colleghi e i miei contemporanei tutti. La presenza del grande capo è come dire ... sedativa. Serve sempre. Tre domande .. nemmeno una risposta. E poi c'è il senso di colpa. Un senso di colpa antico e violento. Quello del noioso e annoiato quasiborghese che mantiene un lavoro, ha una casa una vita normale, che si lamenta per le sue condizioni di vita. Si sente l'assurdita del ragionamento se solo sposto il mio sguardo al di fuori delle mie mura. Della mia città della mia nazione del mio amato e unico mondo occidentale. A che posto sto esattamente nell'umanità? Altra domanda.. dannazione .. a questa forse posso dare una risposta.. ci posso provare per lo meno. Credo alta. Medio alta. Diciamo che se l'umanità si misurasse con il centimetro, con un centimetro lungo un metro, questo tra parentesi farebbe del nostro centimetro uno strumento che a buon diritto potremmo chiamare METRO, starei ad una sessantina di centimetri centimetro più centimetro meno. Dunque ho il mio metro. Misuro l'umanità. Fingiamo come di appoggiarlo a terra e lasciarlo andare verso l'alto. In basso, vicino al pavimento, tra la polvere e gli insetti chi ci metto? Provo a metterci i poveri. I poveri quelli veri quelli che vediamo alla televisione nei documentari dei viaggiatori o dei turisti occasionali. Quelli che vivono in Africa. Chissà perchè i poveri stanno tutti sotto l'equatore per noi uomini medi. Ma un attimo. I poveri. Quelli che non hanno niente, non hanno un lavoro che non hanno un governo che non hanno uno stato un identità nazionale che non hanno nemmeno molto cibo, che non hanno il denaro la moneta, forse loro, voglio dire, probabilmente non sono davvero quelli che dovrebbero stare al pavimento. Insomma conservano paradossalmente un alto grado di libertà. Dalle istituzioni dalla dipendenza dallo stato dal senso di appartenenza alla razza. Ecco, probabilmente li cambierei di posizione con i prigionieri. I prigionieri. Concetto un po fumoso, ma esistono nel mondo, o per lo meno ne ho sentito parlare, prigionieri poveri. Gente che oltre a non avere niente non conserva nemmeno quel grado di libertà. Sono carcerati, ghettizzati, handicappati, discriminati, deportati, malati, diversi e poveri. Tutti ugualmente diversi poveri e dimenticati. Ecco loro sono a livello pavimento. Poi vengono i liberi ma poveri di cui sopra. Che hanno l'illusione di una libertà che infondo non è altro che la libertà di morire di fame. Sopra, diciamo ad una ventina di centimetri dal pavimento ci sono quelli che vivono di stenti. Che riescono a raccattare qualcosa da mangiare con espedienti o lavorucci. Insomma quelli che cercano disperatamente di inserirsi nella società nella quale vivo io ma che fanno sempre troppa fatica. Quelli che si vogliono affermare, che vogliono un posto in cui vivere. Che si affannano e consumano la loro esistenza nella speranza un giorno di entrare a far parte di questo sistema economico-sociale che è detto occidentale. Questi un po piu lontani dalla polvere ma non ancora troppo non hanno molta coscienza di chi sta sotto di loro. Diciamo che sono piu avvezzi a guardare verso l'alto. Sono molti che gli stanno sopra. e loro aspirano a salire lungo il mio metro appoggiato al pavimento. Diciamo che quella di risalire il metro è una tendenza più o meno diffusa. Guardando su le persone vedono chi sta proprio poco sopra di loro. I piu invidiosi riescono a vedere due o tre gradini sopra. Ma la tendenza è la stessa. Guardando sopra questi alti venti centimetri possono vedere i loro prossimi vicini. Sono persone già inserite nella società che spende compra, con un po di precarietà. Non sono sicurissimi della loro posizione. Traballano, ma sono come dire quasi arrivati alla sopravvivenza pertanto quasi felici. Orgogliosi forse. Sono quelli che hanno una voglia esagerata di rivalsa, ma contemporaneamente e forse anche in maggior misura hanno bisogno di preoccuparsi di mantenere la loro posizione per non scivolare un decimetro piu in basso. Loro sono ancora considerabili quasi poveri. Ma cominciano ad avere sempre meno libertà. Cominciano a sacrificare la loro libertà in nome di quello che li fa sopravvivere. Cominciano mano a mano ad assuefarsi al sistema che per essere posizionato bene nella società del metro debbano rinunciare a qualcosa. Non tutti lo fanno. Quelli che non ci riescono restano li, magari salgono col tempo un gradino, quando sono troppo stanchi e vecchi per poterselo godere altri scivolano nuovamente piu sotto senza accettare le regole del gioco. Altri ancora salgono, salgono il metro si arrampicano e si pongono come limite soltanto la possibilità. Posso arrivare fino in cima si dicono. Ne fanno la ragione di vita e cominciano a guardare solo piu verso l'alto. Questi, probabilmente, guardando verso l'alto vedono me. Ecco che mi trovo circa a quaranta centimetri da terra. Pensavo onestamente di stare più su. Ma in fondo non me la passo poi cosi male. In questa categoria siamo in tanti. Inseriti bene o male nella brodaglia di società che qualcuno ha costruito, forse piu per meriti di nascita che personali. Per eredità paterna diciamo. Qui consumiamo la nostra esistenza chi piu chi meno essendo dipendenti da tutto. Abbiamo i vizi di quelli che ci stanno sopra, i lussi diciamo e condividiamo la condizione un po precaria di quelli sotto di noi. Inoltre... siamo dipendenti e ossequiosi verso chi si trova sopra. Questa è un novità. Da questo punto del metro in po si manifesta questa strisciante accondiscendenza verso chi occupa una posizione piu alta di noi nel metro sociale. Questa credo sia la categoria con il piu nutrito gruppo di disadattati. Gente che non sa cosa vuole. Non sa se vuole fare un salto verso l'alto o uno verso il basso. Non sa se il suo posto naturale nella società sia quello che occupano o quello sotto. Inadatti al mondo e comunque sempre dipendenti dai potenti. Addormentati per quanto possibile moderatamente accontentati non hanno ragioni per battersi, non devono nemmeno sopravvivere. Si consumano come una candela in una stanza dove non c'è nessuno. INUTILMENTE. Io sono qui dentro. Io mi sto consumando lentamente ma nemmeno poi troppo. Guardo verso l'alto e non provo rivalsa, non provo invidia, non provo stimoli per raggiungere gradini sopra. Io non voglio progredire nel metro sociale. Io quando guardo sopra ODIO. Quando guardo sotto .. mi imbarazzo. Ma io.. sono un disadattato.