DEMA
«L'atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l'inizio della ragione.» - Erich Fromm

lunedì 30 marzo 2009

Come un anomalia, come una svista



Genova, 28-03-09

Quando sono partito da Milano avevo un vecchio ricordo di Genova, falsato dagli anni che lo hanno fatto sbiadire. Ora Genova ha una metropolitana, sembra sempre più simile ad una grande città di mare. Ma ovviamente la Genova delle Canzoni di Fabrizio de Andrè è quella fatta di ciotoli, strettissimi carruggi, odore di piscio misto a salsedine. In questi giorni i carruggi genovesi sono presi d'assalto da un fiume di persone che sono li per una ragione precisa. Per un pellegrinaggio. Quasi come si fa con i santi, perchè in fondo de Andrè è nel costume degli italiani come un "santo laico". Ci sono persone di tutte le età, questo a conferma del fatto che anche i piu giovani, il popolo di X-factor e Amici, resta curioso circa la vita di una persona che ha cambiato per sempre la musica italiana. Non sono però tutti accaniti fan del cantautore genovese, passeggiando fuori da palazzo ducale si sentono i commenti delle persone appena uscite dalla mostra. "Troppo buia", "troppo pessimista", "troppo anarchica e incentrata sui poveracci". In effetti De Andrè è un cantante popolare, ma non è per tutti. Una persona può ascoltare Khorakanè, la stupenda canzone che parla dei Rom, e giudicarla una stupenda canzone, ma poi nel significato della canzone c'è qualcosa che ci infastidisce. Ci si dimentica in un secondo la dimensione "romantica" dello zingaro pensando agli zingari che vediamo nelle nostre città arroccate in baraccopoli. De Andrè era oltre. Preferiva un ladro ad un banchiere e non è semplice arrivare a questa visione da cittadino del nostro tempo. Sono troppi i pregiudizi di cui ci tocca spogliarci. Fabrizio è nato senza probabilmente. L'uomo che diceva "Per me Genova ha la faccia di tutti i poveri cristi che ho incontrato nei carruggi". Lui che era parte della Genova bene, lui che ha lasciato gli studi e il lavoro che il padre avrebbe voluto per lui, per scrivere canzoni. Per scrivere per quelle persone che erano dimenticate dalla società. Generalmente le persone in giovane età si sentono rivoluzionarie, aderiscono a idee libertarie, poi col passare dei tempi si "ammortizzano" sulla società. La rivoluzione? Oggi no domani non so, ma dopodomani sicuramente!!!
De Andrè col passare del tempo si è sempre piu radicato su questa posizione di cantore degli ultimi.
Visitando la mostra infine ci si rende conto di quanto essa riporta Fabrizio all'umanità. Lo spoglia parzialmente di quel vestito da poeta della canzone, da cantore libertario che negli ultimi anni gli è stato cucito addosso. Ci sono interviste, scritti personali usciti direttamente dalla penna del cantautore, aspetti della vita quotidiana e testimonianze dei collaboratori e degli amici che lo rendono terreno. Inoltre l'interattività dell'esposizione non relega il visistatore negli spazi soliti della mostra. Qui si può toccare, sentire, scegliere. E' come se qualcuno ci abbia aperto la stanza privata di Fabrizio permettendoci di curiosarci dentro. E' intimo.
Anche se non si ritiene De Andrè il poeta della canzone, anche se lo spirito non è quello del pellegrinaggio, forse peraltro un po' ostentato di alcuni visistatori, vale sicuramente la pena di vedere questa esposizione su uno dei personaggi più controversi della musica italiana, il primo degli ultimi, il poeta degli oppressi, o semplicemente Fabrizio de Andrè, quello che parlava con le "graziose" di Via del Campo.

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